Assemblea Nazionale FLI - Roma
Intervento di Salvatore Tatarella
Condivido l'onesta e responsabile relazione di Gianfranco Fini, che ringrazio per tutto quello che ha fatto sino ad oggi alla guida della destra italiana. Condivido le sue dimissioni e la sua decisione di promuovere una fondazione di pensiero e cultura nell'ambito della Destra europea. Condivido la nomina di Roberto Menia a nuovo responsabile nazionale di Fli e gli faccio i miei auguri più sinceri.
Non ha senso chiedersi cosa fare, dove andare e con chi, senza capire prima cosa è effettivamente accaduto e se e quali errori abbiamo commesso.
È accaduto che nessuno ha vinto le elezioni e che tutti, chi prima (Berlusconi), chi dopo (Bersani e Grillo) hanno perso. Ha perso anche Monti, certificando il fallimento del disegno centrista. É scomparsa la destra, elettoralmente e politicamente
Quello voluto da Napolitano, non é certamente il migliore, ma era l'unico governo possibile. Se fossimo rientrati in Parlamento, avrebbe ricompreso anche noi e oggi, forse, qui staremmo a fare altri discorsi.
Fratelli d'Italia, visto che alcuni di noi guardano con attenzione a questa formazione, ha sbagliato a votare contro. Forse ha cercato uno spazio elettorale, una distinzione mediatica, ma certamente ha disatteso l'interesse nazionale, al quale una destra responsabile dovrebbe restare sempre ancorata, e ha rinunciato al fondamentale ruolo politico che avrebbe potuto assolvere: bilanciare a destra l'azione di governo.
Senza una componente dichiaratamente di destra al suo interno, il gabinetto Letta, da governo di scopo, temporaneo, necessitato ed emergenziale, rischia così di diventare un governo politico, il governo di un nuovo, fallimentare, asfittico, centrosinistra.Sul governo, é vero, incombe sempre la variabile Berlusconi. La golden share della sua durata é nelle sue mani. Sartori sul Corriere della sera ha fatto oggi un'analisi ineccepibile.
Saranno determinanti i suoi molteplici interessi, primo fra tutti quello di editore e concessionario televisivo, le sue vicende giudiziarie, i suoi sondaggi, i suoi umori e i suoi acciacchi.
Al netto di tutto questo, possiamo dire che se questo governo cade nel breve periodo, si va sicuramente al voto e nessuno potrebbe contendere a Berlusconi il ruolo di leader del suo schieramento.
Se, invece, il governo dura, gli scenari possibili potranno essere diversi. Dipenderanno dal successo o meno della convenzione per le riforme (Berlusconi sembra averla già affossata), dalla legge elettorale e dalla forma di Stato che adotteranno, dalla evoluzione della crisi economica, dai nuovi rapporti di forza all'interno del Pd, da una sua eventuale scissione, dalla tenuta dei gruppi parlamentari grillini.
Possibile intravedere un rafforzamento dell'asse centrista intorno a due simil dc: il Pdl,già trasformatosi in una Forza Italia tardo dc, e il corpaccione moderato del Pd, sempre più influenzato e controllato dagli ex pipi.
Il che potrebbe determinare una scissione a sinistra del Pd e la nascita di una vera destra sul fronte opposto. Potrebbe.
Questo scenario segnerebbe il trionfo tattico di Berlusconi, trasformatosi, per sua bravura e per incapacità degli avversari, da sicuro sconfitto in arbitro e regista del dopo elezioni, ma, allo stesso tempo, anche la sua morte politica.
Un governo normalizzato di centro sinistra, infatti, supererebbe e assorbirebbe definitivamente l'anomalia berlusconiana. Il ventennio riformatore si concluderebbe con una restaurazione e certificherebbe il fallimento politico di Berlusconi, falso innovatore e riformatore mancato.
A tanto si arriverebbe anche per i nostri gravi e molteplici errori. L'elenco sarebbe lungo e percorrerebbe tutto l'arco della nostra ormai ventennale vicenda politica. Limitiamoci all'ultimo periodo.
Errore fondamentale fu l'aver abbandonato il campo della destra, l'aver rinunciato alla missione storica, che tuttora ci appartiene, di costruire una destra diversa da quella berlusconiana.Dovevamo restare nell'unica area, dalla quale nessuno poteva cacciarci, e nessuno, in effetti, ci ha cacciato. La sola dove possiamo ancora stare e costruire l'unica destra possibile, per fare la quale fondammo An, lasciando per sempre la casa del padre.
Errore fu l'aver lasciato il pdl. Dovevamo restarci e costruire un'opposizione interna, forte, organizzata, capillare, per costruire l'alternativa a Berlusconi e al berlusconismo.
Errore fu non aver trovato le risorse necessarie per una battaglia epocale. Contro l'uomo più ricco e più potente d'Italia non la si fa la guerra solo con le collette pur generose dei militanti
Errore fu ridurre la nostra politica al solo obbiettivo del ribaltone parlamentare, poi fallito per il troppo tempo concesso a Berlusconi.
Errore fu la mancanza di una chiara strategia politica, passata attraverso titubanze, contraddizioni, annunci, abbandoni e fallimenti successivi: terzo polo, partito della nazione, mille per l'italia, appiattimento parlamentare sul govetno monti, scelta civica.
Errori minori, ma anch'essi letali, attengono alla pessima gestione del partito. Ne ometto la rassegna. Sono noti a tutti.
Che fare, allora?
Porre fine alla diaspora? Giusto, anche se i precedenti non sono incoraggianti
Troppi risentimenti, troppe rivalità, troppe incomprensioni.
Nessuno vi è mai riuscito. Dc, psi, pci. Sebbene avessero grandi classi dirigenti, grandi storie, grandi mezzi.
Chi é stato causa del fallimento, difficilmente sarà disposto ad ammettere le sue responsabilità e, normalmente, difetta dell'umiltà, della determinazione, della forza e dell'autorevolezza necessarie per una difficile opera di ricostruzione.
Infine, in giro non si vede un leader nuovo, giovane, riconoscibile e accettato. Da un tale requisito sembra che oggi la politica non sappia prescindere e ci tocca prenderne atto.
Ciò detto, tentare é per noi un imperativo morale.
Come?
Rilanciare Fli?
Confluire in altro schieramento?
Confederarsi?
Fare una cosa nuova?
Rifare An?
Rilanciare Fli in una cosa nuova sarebbe la cosa migliore. Oggi c'é una forte richiesta di novità. Come nel 94. Noi, per certi versi, siamo stati degli anticipatori e per altri siamo forse il solo partito senza gravi pecche e scheletri negli armadi. Potremmo rappresentare una forte novità, ma occorrono idee nuove, e ce ne sarebbero, e una forte volontà, che purtroppo non vedo.
Anzi vedo il leader di maggior durata e di maggior successo della destra italiana ed europea, che si assume generosamente il peso dell'insuccesso elettorale e si situa in una posizione, non di resa o di abbandono, ma di riflessione e di studio.
Non resterebbe, allora, che l'ultima. Rifare, anzi, più correttamente, ripartire da An. Sembrerebbe essere la soluzione migliore, la più attrattiva e, mi sembra, la più condivisa.
In effetti, il brand é riconoscibile. Peserebbe almeno quanto lo scudo crociato ha pesato per l'Udc. Se non di più.
Ha un bacino elettorale certo e anch'esso facilmente riconoscibile.
Può raccogliere agevolmente e velocemente un vasto reticolo di classe dirigente diffusa sul territorio.
Un chiarimento é, però, necessario.
É questa una soluzione solo elettoralistica?
La vicinanza delle europee, il quorum alto per accedervi e la forzata vedovanza parlamentare di molti di noi induce al sospetto.
Se é questo che si vuole, non mi scandalizzo. L'obiettivo e' piu' che legittimo. Primum vivere.
Il percorso, in questo caso, é anche abbastanza scontato.
Fra un convegno e una iniziativa, si aspetterà l'esito delle elezioni romane. Dopo di che, gli eterni ex colonnelli, o chi di loro ci vorrà stare, si incontreranno e troveranno un'intesa.
Per loro stessi, innanzitutto. Per due o tre seggi a Strasburgo nel 2014 e tre o quattro nelle regionali del 2015. Non vedo, purtroppo, prospettive migliori.
Puo' riuscire, ma trattasi di misera e poca cosa, come poca cosa fu, nelle ultime, nefaste, elezioni, il puntare, con miope e solitaria determinazione, solo alla posizione di miglior perdente. Un piccolo imprevisto ha fatto saltare il gioco. Che sia di insegnamento, per chi sembra preferire sempre l'obiettivo minimo.
Si vuole partecipare alla divisione delle spoglie del patrimonio ex an? Legittimo anche questo, perchè ognuno di noi ne avrebbe titolo. Una cosa, però, sia chiara. É ora di dire basta allo scempio che di tale patrimonio si sta facendo. Altro che casa di Montecarlo, sulla quale, va anche detto, abbiamo sbagliato impostazione, offrendo il fianco ad una falsa, vigliacca e miserabile campagna di demonizzazione e demolizione di un leader politico, come non si era mai visto in precedenza.
Non escludo, a questo proposito, di promuovere quanto prima una azione collettiva di già iscritti ad an, perché sia posto fine al depauramento costante e sistematico delle risorse di quel partito.
É, invece, la ripresa, la ripartenza e il completamento di uno straordinario e storico percorso, nato a Fiuggi, ma più di una volta tentato anche prima?
Bisogna, allora, fare le cose per bene, consapevoli dei tempi necessari, che non saranno brevi, delle difficoltà contingenti, che non saranno lievi, di tutti gli errori passati, che non dovremo ripetere.
Solo avendo la chiara consapevolezza delle gravi difficoltà che incontreremo, possiamo attrezzarci per vincere la sfida.
Cominciamo, allora, col chiarire che questa non é l'ultima assemblea nazionale di Fli e che Fli non si scioglie, come qualche squallido quotidiano va scrivendo.
Lo dobbiamo ai dieci, venti, mille, o diecimila iscritti, che ci hanno seguito, che hanno avuto fuducia in noi e, sopratutto, in Gianfranco Fini.
Sono quella sparuta minoranza di italiani che, votando il nostro simbolo, hanno impedito a Berlusconi di vincere le elezioni.
Una soddisfazione, che non abbiamo saputo nemmeno valorizzare e che, da sola, vale la nostra scelta di ieri e oggi la sopravvivenza di fli.
Bene quindi la nomina a Presidente di Roberto Menia. Ora si ricostituiscano subito gli organi, centrali e territoriali e ci si metta al lavoro, nel senso auspicato dal documento, che approveremo.
E lo si mandi a dire, chiaro e forte, al Cavaliere e a tutti i nostri amici di destra, con i quali intendiamo, comunque, aprire subito un dialogo.
Non siamo dei pentiti, che ritornano a casa.
Sono altri che dovrebbero aver capito oggi che qualche ragione noi ce l'avevamo già da ieri.
Con questi amici, ai quali siamo legati umanamente e politicamente da alcuni decenni di comuni passioni ed emozioni e da dibattiti antichi e mai conclusi, dobbiamo innanzitutto definire, con accettabile chiarezza, chi siamo, da dove veniamo, dove vogliamo andare e sopratutto cosa vogliamo fare.
Discorso non lungo e nemmeno complesso, se ci limitiamo almeno a fissare alcuni capisaldi irrinunciabili.
Parafrasando l'ottimo libro di Antonio Polito In fondo a destra, edizioni Rizzoli, possiamo certamente sintetizzare un nostro primo e non esaustivo decalogo:
A) Siamo una destra nazionale. Il nostro stare in politica é incompatibile e antitetico con ogni movimento che persegua la disgregazione della Patria e dello Stato nazionale.
Siamo, pertanto, incompatibili con il folclore padano e con ogni manifestazione di irrisione dell'Italia o di parte di essa. Possiamo essere anche federalisti, e io non lo sono, ma non potremo mai più flirtare con chi coltiva, anche solo in ipotesi, un disegno disgregatore dell' unità e della coesione nazionale.
Per intenderci, non potremo mai più stare con chi offende oggi il Tricolore e domani i meridionali. Facendo violenza e strame dei valori nazionali, che sono alla base del nostro essere di destra, in passato siamo stati alleati politici e di governo di chi, proclamando "solennemente la Padania Repubblica federale, indipendente e sovrana" osava affermare che "la storia dello Stato italiano é storia di oppressione coloniale, sfruttamento economico e violenza morale".... che "lo Stato italiano ha costretto con l'inganno i popoli della Padania a soggiacere al sistematico sfruttamento delle risorse economico-finanziarie prodotte dal lavoro quotidiano, per sperperarle nei mille rivoli dell' assistenzialismo clientelare e mafioso del Mezzogiorno". Altro che "mai più caffè con Umberto Bossi". Abbiamo tutti colpevolmente tollerato l'attacco alle radici stesse di quello Stato nazionale che la Destra storica aveva contribuito a realizzare.
Quell'alleanza, dettata dall'orgia del potere che prese tutti noi, ha rappresentato il più grave cedimento ideale della destra, che ci ha poi indotto a tollerare, con il virus del separatismo, quello del razzismo, della xenofobia e dell' islamofobia, mali dai quali ogni destra europea si è sempre tenuta lontana, emarginando tutti gli estremisti, anche a costo di perdere le elezioni.
A costoro, invece, noi abbiamo consentito che fosse data la golden share della maggioranza e poi li abbiamo addirittura inseguiti sul loro terreno, sostenendo, con la devolution, una sorta di federalismo all' amatriciana, che ha finito di scassare uno Stato, che invece avremmo dovuto riformare e modernizzare. Un vero disastro, un totale annientamento della destra, sul piano politico, istuzionale, storico e culturale.
Conseguentemente, abbiamo regalato alla sinistra il tema della Patria e dell'unità nazionale, favorendo un incredibile capovolgimento storico. La sinistra, storicamente internazionalista, é diventata custode dei valori patriottici, mentre, anche in occasione del 150 anniversario dell'unità nazionale, la destra, che storicamente è nazionalista, é parsa assente, distante e distratta.
B) Siamo una destra convintamente europeista. Negli anni della emarginazione e della irrilevanza politica già invocavamo l'Europa nazione. Non abbiamo cambiato idea, ma dobbiamo declinare quella idea con gli strumenti che la rendano possibile e non utopistica. Questa Europa, così com'é non piace a noi, come non piace a fasce sempre più ampie di cittadini europei. Le riconosciamo il merito storico di aver preservato la pace e favorito lo sviluppo del continente, ma dobbiamo cambiarla. Non tornando indietro, perché sarebbe una catastrofe. Ma andando avanti.
Non mi sento di affermare che l'epoca degli stati nazionali sia finita per sempre, posso però dire, con convinzione e dimostrazione, che, nella competizione mondiale, nessuno stato nazionale europeo può più farcela da solo. Nemmeno la Germania.
Allora, non è solo la nostra idea di destra, ma anche l'interesse nazionale, che é supporto della prima, che ci indica la strada dell'integrazione europea.
Questa, purtroppo, non può avvenire che per passi, pragmaticamente, partendo dai fatti, dai problemi, dagli interessi sul tappeto.
Così come é sempre stato, sin dalle origini:ieri carbone, acciaio, agricoltura, mercato unico, euro.
Così oggi, unione bancaria e fiscale, e domani difesa comune ed esercito europeo, sino a raggiungere, a tappe forzate, l' unione politica, la semplificazione istituzionale, e un più elevato tasso di democrazia. Insomma l' Europa dei cittadini, degli elettori, che sceglieranno direttamente il Presidente della Commissione.
Dobbiamo, quindi, accelerare la corsa verso l'unico approdo possibile, gli Stati uniti d'europa. Il solo federalismo che ci appartiene, perché, come ci insegnano i latini, federare significa unire.
Per ultimo, avviare, partecipandovi a pieno titolo, la costruzione di un vero Partito europeo, che non può che essere il Ppe, ma un Ppe vero e non il miscuglio odierno di vari e assai differenti partiti nazionali. Dobbiamo fare in fretta. Non c'é molto tempo e sopratutto non c'é tempo per passi indietro, per miopi euroscettismi, e per ventate di nuovo nazionalismo.
Non posso, pertanto, riconoscermi in chi, anche a destra, si mette a capo di campagne antigermaniche, dimostrando quantomeno una profonda e grave ignoranza del reticolo di relazioni e alleanze internazionali in cui siamo calati
C) Siamo la destra dello Stato, delle istituzioni e della Costituzione. Non esiste, é ovvio, una destra senza un forte senso dello Stato.
Questo significa che non possiamo confonderci con chi attacca quotidianamente una fondamentale istituzione dello Stato come la magistratura, definendola un cancro della società, con chi dileggia la Corte costituzionale, degradandola da organo di garanzia a espressione di partigianeria politica, da chi confligge quotidianamente col Capo dello Stato, contestandogli le prerogative che la Costituzione gli assegna. Se ciò noi tollerassimo ancora, faremmo un altro gravissimo errore, contraddicendo noi stessi, la nostra storia, i nostri valori, perché il rispetto per la legge e l'ordine costituito, rappresenta il tessuto connettivo di ogni destra.
D) Siamo una destra riformatrice. Siamo stati per lunghi anni al potere e non abbiamo portato a termine una sola delle nostre istanze riformatrici, saldamente piantate nei nostri programmi, sin dagli anni del Msi. Niente repubblica presidenziale, niente legge elettorale, niente riordino dello Stato e taglio di tutti gli enti inutili, niente nuova rappresentanza e articolazione degli enti locali, niente conflitto di interessi, niente legge contro la corruzione, niente legge sulla democrazia, trasparenza e legalità nei partiti. Niente disboscamento e riforma dell'alta burocrazia dei ministeri, che si autotutela, si autoriproduce e si tramanda, da governo a governo, restando immutata e dettando essa leggi e tempi ai ministri che si succedono.
Non siamo stati capaci di farlo e forse neppure lo abbiamo tentato.
E) Siamo una destra legalitaria. Sul tema non servono molte parole. La legalitá é una precondizione dell'impegno politico. La legalità impegna tutti i cittadini. La legalità è un connotato costitutivo della destra. Non possiamo ammettere zone d'ombra e di contiguitá con ogni forma di potere criminale. Lotta dura alla criminalità organizzata, anche se coperta da colletti bianchi. Ampia e generale trasparenza dell' azione pubblica. Sostegno pieno e solidarietà convinta a forze dell'ordine e magistratura.
F) Siamo una destra dei diritti. La società evolve e la destra non può restare indietro. Ci sono temi un tempo ignoti al dibattito della destra: si pensi ai diritti degli immigrati, alla questione delle carceri, alle unioni di fatto. Una discussione seria e non ideologica si impone anche a destra. Con l'equilibrio, il buon senso e il pragmatismo che contraddistinguono la destra.
G) Siamo una destra liberale e sociale. Non possiamo che essere chiari su questo delicato argomento, che riguarda l'economia, lo sviluppo, la produzione, il lavoro e il welfare. Non è contraddittorio dire che la destra é sociale e liberale, perchè non si può essere realmente sociali, se non si è prima liberali. Una società liberale, fondata sul merito e sulla concorrenza, garantisce sviluppo, lavoro e produttività. Contrariamente avremo solo decrescita, povertà e assistenzialismo.
H) Siamo la destra della cultura. Questo ventennio ha segnato la fine dell'emarginazione politica e anche culturale della destra, ma non é stato segnato da un vero e proprio rilancio culturale della destra, a differenza di quanto é, per esempio, accaduto negli Stati Uniti o nella vicina Francia. Alla destra è mancato del tutto un suo progetto di insediamento culturale, nonostante avesse ingenti possibilità. La ricostruzione di una destra vera non potrà prescindere dal coltivare e promuovere il suo immenso retroterra culturale, che spazia da Dante a Pound.
I ) Siamo una destra democratica e dei cittadini.
C'é in Italia una voglia immensa di partecipazione, che si é male espressa nel voto al movimento 5 stelle, vera truffa centrata su una effimera e apparente partecipazione, che nasconde malamente la solita gestione autocratica di un partito già vecchio.
Dobbiamo avere il coraggio di promuovere, applicando l'art.49 della Costituzione, il riconoscimento giuridico dei partiti, in modo che siano previsti e regolamentati con legge i diritti di partecipazione, uguaglianza, elezione e trasparenza di tutti gli iscritti ai partiti.
L) Siamo una destra inclusiva. Il percorso che intendiamo riprendere non si ferma ovviamente all'area pur vasta della vecchia An (cinque milioni di italiani), ma deve andare ben oltre, come ci ha insegnato Qualcuno, troppo spesso richiamato anche a sproposito. L'Italia é un paese con una maggioranza moderata e di destra, ma non ha mai avuto un grande partito di destra, popolare, democratico e partecipativo, che abbia saputo rappresentarla. Noi dobbiamo perseguire questa ambizione.
Tutti questi concetti, ovviamente sintetici e senza alcuna pretesa di rappresentare il pensiero di tutti, vanno discussi, chiariti e posti a base del confronto con tutti quelli che vogliono contribuire alla costruzione di una destra vera, ovunque schierati e quale che sia stato il loro voto o non voto nelle ultime politiche. Per quanto mi concerne, sono il vero patrimonio morale, che altri uomini ci hanno lasciato e che abbiamo il dovere di difendere e diffondere.
Se vogliamo rifondare una destra non possiamo che ripartire da qui, e, come è agevole comprendere, non stiamo tornando indietro. Semmai, stiamo facendo una sosta per raccogliere e unirci a chi era rimasto indietro e oggi potrà riprendere con noi un comune cammino di destra.
Salvatore Tatarella
Presidente Assemblea Nazionale
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